MEDIAZIONE FAMILIARE E DIRITTO COLLABORATIVO DIFFERENZE E FUNZIONI

leggo con molta attenzione e interesse l’articolo che trovate a questo link:

Mediazione familiare e diritto collaborativo: quali differenze?

e mi colpisce l’immagine iniziale del vissuto della coppia che si trova ad entrare nell’aula di tribunale per affrontare una causa che riguarda questioni familiari, presumibilmente una separazione o un divorzio e si rende tristemente conto che, molto probabilmente, quello non è il luogo dove ci potrà essere tempo e attenzione adeguate a una cosa così personale e privata.

E’ in questo contesto e in questa consapevolezza che si descrive poi la funzione della mediazione familiare: “La mediazione familiare è un percorso che offre a chiunque si trovi a vivere un momento di conflitto familiare (e perciò non solo a due coniugi) uno spazio e un tempo per ritrovare un dialogo rispettoso, un momento di ascolto reciproco, l’opportunità di far emergere i propri bisogni, riuscendo a guardare – al contempo – a quelli dell’altro.”

Raccontando chi è e cosa fa il mediatore familiare:
“il mediatore appunto, che non è né un giudice, né uno psicoterapeuta, né uno psicologo, né un avvocato (e, se lo è, non ne riveste il ruolo in quel momento). Il mediatore è qualcuno che, a seguito di uno specifico percorso di formazione, ha imparato a fare un uso prezioso di alcuni strumenti, indispensabili per aiutare le parti in conflitto a spogliarsi della maschera che indossano ogni giorno per proteggere se stessi (come un po’ tutti facciamo) e che finisce con cancellare le persone con i propri problemi. ……Il mediatore fa un po’ da cassa di risonanza di ciò che accade nella stanza, specchiando le emozioni senza porsi l’obiettivo della risoluzione della crisi, bensì quello della restituire ai mediati una responsabilità che appartiene solo a loro, proprio attraverso l’accettazione del conflitto.”

Non di minore importanza è il ruolo dell’avvocato: “È importante, tuttavia, che quando un avvocato ci sia (cioè esista un procedimento giudiziario) egli sappia rispettare i tempi necessari a far procedere il percorso di mediazione e sappia accogliere le soluzioni che le parti siano riuscite a trovare insieme (per riportarle negli atti del processo), senza sminuirle o ostacolarle (cosa che, purtroppo non sempre avviene), ma solo traducendole con linguaggio giuridico.”

L’approccio collaborativo, invece si differenzia dalla mediazione, anche se a volte, prevede anche la collaborazione professionale di un mediatore ove si renda necessaria la sua presenza:
“Gli avvocati collaborativi non sono mediatori, né terzi imparziali, ma tutelano gli interessi ciascuno del proprio cliente, se pur adottando ed esigendo da quest’ultimo (attraverso la sottoscrizione di un contratto di collaborazione) il rispetto di precise regole: quelle della riservatezza, della lealtà, della correttezza e della trasparenza delle informazioni fornite, finalizzate al raggiungimento di un accordo che sarà di seguito trasfuso in un atto giudiziario a firma dei clienti.
….. l’obiettivo comune di condurre le parti al raggiungimento di un accordo globale, soddisfacente e duraturo, dando il giusto peso ai molteplici aspetti che sempre abbracciano i problemi legati al conflitto familiare…….”

felicità

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